Apparentemente, in molti sono pronti a tornare a comprare. C'è chi lo ha già dimostrato nei fatti, come Warren Buffett, che ha messo a segno un doppio colpo su Constellation Energy (una utility in difficoltà) e Goldman Sachs . Ci sono i grandi fondi di private equity come Blackstone e Citadel che non vedono l'ora di mettere le mani sugli attivi distressed (con il patron di Blackstone, Stephen Schwarzman, che manda e-mail ai dipendenti per ricordare che aziende come la loro «sono state create proprio per prosperare nelle tempeste»). C'è poi, come scriveva il «Financial Times» di mercoledì, la fila di asset manager che puntano a ottenere la gestione di una fetta degli attivi "tossici" (tra questi, Bill Gross di Pimco ) che saranno assorbiti dal fondo federale statunitense. C'è Microsoft che lancia un buy-back da 40 miliardi di dollari. E c'è pure il mitico professor Jeremy Siegel che, forte delle sue competenze di storico del mercato finanziario, ci spiega che questa è una buying opportunity.
Lo schema sembra quello di vent'anni fa, almeno nelle speranze: allora il salvataggio delle casse di risparmio Usa (con un fondo federale che ne rilevò gli attivi in sofferenza) si rivelò un grande affare. E può darsi benissimo che andrà ancora così. Gli eventi degli ultimi mesi, tuttavia, ci hanno insegnato a dubitare di tutto e di tutti. Tanto per cominciare, almeno fino a giovedì sera, del Congresso Usa, al quale spetta il via libera al piano varato dal ministro del Tesoro Henry Paulson. Poi, della adeguatezza del piano rispetto alle vere dimensioni della perdita globale, che ancora sfugge ai più. Infine, è incerto se emergeranno nuove situazioni di default che non sono state scontate dai mercati (per esempio nell'ex mondo dorato degli hedge fund).
Tornare a comprare ora in Borsa potrebbe rivelarsi, ben inteso, uno dei più grandi affari del ventunesimo secolo (fino a questo momento piuttosto avaro con gli investitori). Ma lo scopriremo tra una decina d'anni. Intanto, va evidenziato che le scelte di acquisto delle mani forti dipendono anche dalle migliori informazioni di cui probabilmente dispongono rispetto ai comuni risparmiatori. E non è sicuro che queste migliori informazioni (vere o presunte) siano sufficienti per indovinare il timing degli acquisti. Ne sanno qualcosa i fondi sovrani, che un anno fa avevano preso a fare incetta di partecipazioni nelle Citigroup di questo mondo convinti di comprare a prezzi di saldo. Salvo scoprire oggi che, aspettando, potevano risparmiare un ulteriore 60 per cento.
Poi c'è da chiedersi se la terribile fase dei gestori value (quelli che investono in società convenienti rispetto ai fondamentali), che in media hanno fatto peggio degli indici quest'anno, sia finita oppure no. Storicamente questo stile di gestione ha prevalso su quello growth. Ma chi ci vieta di pensare che questa superiorità mostrata in passato non avesse alcuna giustificazione logica e che sia quindi destinata a lasciare il posto a una prolungata sottoperformance?
In queste fasi, chi sta alimentando piani di accumulazione in strumenti azionari e non è improvvisamente diventato intollerante al rischio ha buoni motivi per insistere su questa strada. Ma è difficile che chi è sempre stato poco tollerante al rischio possa scoprire proprio adesso di avere un cuore di leone. Per i risparmiatori con queste caratteristiche, che sono la maggior parte, è meglio rimandare a ulteriori studi in materia (non a tempi migliori, perché le azioni saranno sempre imprevedibili) l'eventuale decisione di diversificare nelle Borse. In assenza di queste conoscenze, i BoT e la liquidità continuano a funzionare benissimo.
